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Un sogno di metà primavera

Se un giorno qualcuno sì ricorderà del nostro piccolo sogno e vorrà raccontarlo a suo figlio?
“Vedi figliolo, un giorno di tanti anni fa ho visto giocare una squadra di calcetto. È successo una serata di metà primavera, mi stavo dirigendo a Treia, per lavoro, ma la macchina dall’alto dei suoi anni ad un tratto decise di fermarsi. Scendendo in strada mi accorsi di trovarmi nei pressi di un palazzetto dello sport. Dall’esterno si sentivano voci, urla e anche qualche bestemmia, più di una a dire la verità. Sembrava una partita importante, e quell’entusiasmo mi ricordava quando anch’io, nel mio piccolo, lottavo sui campi di calcio per aggrapparmi a quell’obiettivo così sfuggente che è la vittoria. Così decisi di entrare. Le piccole tribune erano gremite ma cercai comunque di trovare un posto fra quella gente ipnotizzata dalla partita. Mi feci spazio fra un signore di una certa età che dalla stazza pareva piuttosto un bambino ed una signora che tanto signora non sembrava. Più tardi scoprii che il primo era un ex arbitro conosciuto come “Strozzagagline” mentre la seconda, che signora infatti non era, si chiamava Simone ed era lì per qualche ignoto motivo e il travestimento gli serviva per non farsi riconoscere. Finalmente comodo ero pronto per gustarmi quello che rimaneva del match. M’informai su quale fosse la squadra di casa dal piccoletto vicino a me - “Aurora Treia” - mi disse. Iniziai a guardare quei giocatori, uno dopo l’altro. Il portiere lo ricordo benissimo, con quella maglia gialla da operatore dell’Anas. Il piccoletto mi disse che il calcio a 5 non era il suo sport abituale, era solito infatti giocare al “Bracciale”, un’attività che si pratica tenendo un pezzo di legno in mano, così a fine partita mi spiegai come fece a prendere quei due gol. Mi chiesi come mai giocasse titolare ma non cercai la risposta nel giovanile vecchietto vicino a me, mi bastò guardare verso la panchina per capire tutto. In difesa, un ragazzo un po’ sovrappeso arrancava su e giù per il campo, sembrava essere tornato da un pranzo matrimoniale da non più di mezz’ora. Vedi
figliolo, quello che mi stupì tantissimo furono le parole di quello che ora ricordo, si chiamava Piero: “Quillu è u capocannoniere de a stagiò”. Sbalordito come mai lo ero stato fino a quel momento la mia attenzione cadde sull’attaccante, il pivot. Con quel muoversi impacciato sembrava avere dei ferri da stiro al posto delle scarpe ma aveva una dote eccezionale, riusciva a correre e parlare in continuazione e capii da dov’è che provenivano quelle bestemmie che avevo udito dall’esterno. Si diceva che quella fosse l’occasione della sua vita vista la mancanza fortuita, in quella partita, del vero bomber. In campo c’era poi un giocatore che mi raccontò Piero in quella stagione era l’unica partita che era riuscito a disputare, si diceva fosse schiavo di sua moglie e costretto ad una vita casalinga in pantofole. Fra un’azione e l’altra il mio sguardo cadde poi sulla panchina dell’Aurora incuriosito da cosa avrei potuto vedere se quelli visti prima erano i giocatori titolari. E così vidi con stupore un giocatore con la fascetta da capitano invecchiato dai duri anni passati in panchina, un altro che con le ciabatte ai piedi si grattava la pancia pensando forse al vino che avrebbe bevuto dopo la partita, e così via: uno che partito titolare e andato anche in rete era già costretto in panchina dai suoi tre minuti di autonomia, un gruppetto di tre giovani capitati lì per caso appartenenti ad una comunità di recupero chiamata CSI e infine il portiere, che da come era sbracato sembrava, più che il secondo, il terzo o il quarto. In piedi ai lati della panchina un tipo strano urlava e si dimenava con fare bislacco. Incredibile, era il mister! Vedi figliolo, raramente ho visto qualcuno mettere tanta passione nel suo lavoro peccato che i giocatori sembravano non ascoltarlo affatto, cosicché, il povero allenatore, sembrava il protagonista di una commedia e che da solo, sul palco, provava e riprovava la sua parte. Vicino a lui un signore brizzolato che credo fosse il papà del portiere visto l’ardore con il quale seguiva ogni suo movimento. A completare il quadretto, dalle informazioni di Piero che nel frattempo era diventato mio amico, c’erano due signori non troppo distanti dalla panchina, che non sembravano molto interessati a ciò che succedeva in campo, infatti, sembravano contare e ricontare una mazzetta di denaro. Piero mi disse: “mesà che stasera a issi munelli je paga ‘na cena”. Finito di scrutare quel quadretto simpatico la mia attenzione fu catturata da un boato del pubblico, c’era stato un gol. Affidandomi al racconto del fedele Piero l’Aurora aveva segnato! Un colpo di tacco con la scarpa Rowenta del Pivot aveva liberato in area un piccoletto, non come Piero, ma quasi, che colpì di testa e insaccò in rete. Vidi quel ragazzo esultare correndo di fronte alla tribuna, mi passò davanti e con stupore, guardandolo in viso, scoprii che ero proprio io.
Mi ritrovai in macchina, mi resi conto che non mi aveva affatto lasciato a piedi, mi ero addormentato e avevo semplicemente sognato tutto. Era un lunedì di allenamenti come tanti altri soltanto che questa volta c’era una partita da preparare molto più importante delle altre, quella per la promozione in serie C2.”
Malgrado sembriamo una squadra de carrozzà, piuttosto che di giocatori veri, siamo ancora qui a lottare per qualcosa di piccolo ma comunque importante. Forza ragazzi, C 2iamo quasi!!!

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